Posted on 19 Ott 2016
dell’Ing. Antonio Magliacano, Presidente della Sezione della nostra Polisportiva denominata: Ingegneri d’Alta Quota.
Prigioniero del Tempo, in balia di attimi infiniti e di giorni ora lenti, interminabili, ora brevi, troppo brevi per dare forma ai sogni.
Solo, provando invano a seguire i passi della folle danza del Tempo.
Solo, sballottato senza un saldo appiglio nel mare del Tempo.
Un viaggio, un’esperienza durata un mese o forse un’ora o, più probabilmente, un’intera vita, una vita di pensieri, paure, sogni, esaltazioni, abbattimenti, fatica, gioia e tristezza, profonda nostalgia del profumo di casa.
Kathmandu mi accoglie con il solito caos fatto di umanità colorata, traffico impazzito, clacson in continua ed esasperante attività.
Amo questo posto e subito mi risento a casa; incontro i miei amici della Cho-Oyu trekking con i quali metto a punto gli ultimi dettagli della spedizione.
La stagione è particolarmente piovosa, il monsone non sembra abbia alcuna intenzione di mollare la presa, il trekking di avvicinamento al campo base si presenta poco agevole per le numerose frane lungo il percorso da affrontare.
C’è l’opportunità di prendere l’elicottero ad un prezzo ragionevole, non ci penso un attimo, domani si parte per Samagaun, l’ultimo villaggio dal quale inizia la salita verso il campo base del Manaslu.
Sono all’aeroporto e già il Tempo sembra voler iniziare a condurre la sua perversa danza, ore ad aspettare in sala di attesa nella speranza che il meteo migliori, gli elicotteri ed alcuni voli locali, diretti verso piccoli aeroporti dell’interno, non possono volare per ragioni di sicurezza, siamo in tantissimi, di tutte le razze, di ogni età, stravaccati su qualche sedile, appoggiati ad un muro, buttati per terra a chiacchierare, a dormire o a giocare a carte.
Niente da fare, si torna indietro a Kathmandu, per oggi non si vola, si torna in albergo a non fare nulla, ad aspettare domani…il Tempo rallenta e si dilata.
Il giorno dopo si riprova, stessa scena, gente rassegnata che aspetta, aspetta mentre fuori piove, piove senza sosta.
Dormicchi con la testa appoggiata a un tavolino quando una mano ti scuote, the helicopter sir, ready to fly.
Felicità, come aver vinto la lotteria, si parte, l’elicottero decolla ed il Tempo si restringe, quello che doveva essere un faticoso avvicinamento di cinque, sei giorni, si riduce a cinquanta minuti di volo, un viaggio emozionante tra valli, fiumi, montagne, sorvolando minuscoli villaggi arroccati in luoghi apparentemente inaccessibili, lontanissimi nello spazio e nel tempo.
A Samagaun c’è poco da fare, passeggio nei dintorni sino ad arrivare al tempio buddista posto su una collinetta che domina il villaggio.
E’ chiuso, busso, un monaco mi apre le porte di un luogo incantato, pieno di colori ed immagini che, in un istante, hanno il potere di trasportarti in una dimensione densa di profonda spiritualità, di nuovo il Tempo rallenta, mi fermo a pensare, forse a pregare, finché il Lama mi si avvicina e mi fa capire che una donazione sarebbe gradita; sorrido, è giusto così e do volentieri il mio piccolo contributo, d’altronde, come si dice, senza soldi non si cantano messe!
Il Campo base, come al solito, è una torre di Babele, sto nel settore internazionale ed i miei compagni sono tedeschi, indiani, danesi, svedesi, americani, nepalesi, giapponesi, cinesi, olandesi, turchi…tutti scalpitanti, tutti ansiosi di iniziare l’acclimatamento.
Sono un po’ preoccupato perché Pemba, il mio amico Sherpa, tarderà qualche giorno per completare una parte cruciale del corso che, nel giro dei prossimi due anni, lo porterà ad ottenere la prestigiosa qualifica di guida internazionale.
Il tempo intanto, quello meteorologico, è pessimo; piove, nevica, sembra che esca il sole ma, di nuovo, pioggia e neve senza tregua.
Nonostante l’assenza del mio Sherpa, riesco ad organizzarmi per iniziare l’acclimatamento; salgo una prima volta al Campo1, a 5.800m, riscendendo subito in giornata.
Due giorni di riposo e di nuovo salita al Campo1 dove passo la notte per poi percorrere, la mattina seguente, un tratto di strada verso il Campo2 e ridiscendere infine al Campo base.
Sto bene, mi sento in forma, non ho disturbi dovuti alla quota ma continua a nevicare!
Si susseguono continue, abbondanti nevicate e non si capisce bene cosa stia accadendo alle quote più alte.
Attesa, noia, giornate passate senza poter far nulla, si parla delle previsioni meteo, forse il 29 e il 30 settembre saranno le uniche date in cui si potrà tentare la vetta.
Troppi giorni senza poter far niente, due soli giorni per giocarsi il tutto per tutto!
Maledetto Tempo!
Finalmente arriva Pemba ma nevica, nevica, nevica…
Qualcuno inizia a pensare di rinunciare, se pure dovesse smettere il brutto tempo, in quota ci sono accumuli considerevoli ed il pericolo di valanghe è altissimo.
Il 27 settembre parto con Pemba verso il Campo1, il giorno dopo raggiungiamo il Campo2.
Divertente ed impegnativo il percorso tra i due campi, fatto di crepacci da attraversare su improbabili ed instabili scale di alluminio, altri profondi crepacci, piuttosto larghi, semplicemente da “saltare” in precarie condizioni con il notevole peso dello zaino sulle spalle, pareti di ghiaccio e tanta, tanta fatica dovuta alla quota che aumenta.
Dormiamo al Campo2 e la mattina siamo pronti a partire verso il Campo3 ma…nevica, nevica, nevica.
Ovunque enormi cornici cariche di neve, iniziamo a muoverci, non sono convinto, mi fermo, penso, penso che la mia vita non è soltanto mia, c’è qualcuno che la ama più di quanto io la ami, non ho la facoltà di decidere da solo; basta, oggi non salgo, si tenta domani anche se domani sarà troppo tardi, la finestra di bel tempo è una ed una soltanto…maledetto Tempo!
Seduto su un mucchio di neve mi trovo a filosofeggiare con Pemba sui limiti del rischio, su dove sia il confine tra pazzia, incoscienza ed un livello di rischio sostenibile anche in relazione al fatto che si sta tentando un’impresa estrema e non si sta certo facendo una tranquilla camminata in montagna.
Il giorno dopo c’è il sole e via verso il Campo3, posto a circa 7.000 m, sono sempre più stanco ma è normale, a pochi metri dal Campo3 però, improvvisa ed inaspettata, una crisi ipotermica, inizio a tremare come una foglia, non ho più un briciolo di forza, ho paura!
Pemba, nonostante sia carico come un mulo, prende anche il mio zaino, gli ultimi metri sono un calvario, mi infilo nella prima tenda che vedo e inizio a tremare, un tremore irrefrenabile, mi fanno male tutti i muscoli che sono scossi violentemente senza la possibilità di distendersi un istante, chiedo l’ossigeno, respiro lentamente e, finalmente, smetto di tremare, mi rilasso, mi calmo.
Sono le tre del pomeriggio e l’unico modo per tentare la vetta è quello di ripartire a mezzanotte perché domani è l’ultimo giorno possibile…maledetto Tempo!
Non posso, non ce la faccio, dovrei avere almeno un altro giorno di riposo ma il tempo è finito…maledetto Tempo!
Va bene, va bene così, c’è un po’ di rimpianto, sicuramente con l’ossigeno ausiliario ce l’avrei fatta ma no, su questo non transigo, niente da dire su chi utilizza l’ossigeno, per carità, ma io voglio arrivare solo dove le mie forze lo consentono, solo lì dov’è il mio limite naturale, con l’ossigeno è un altro sport!.
La mattina si scende, Campo2, poi giù verso il Campo1 che è ormai lì, a pochi passi, quasi si toccano le tende quando un appoggio, dove già erano passate decine di altri scalatori, improvvisamente, cede!
Non grido ma penso, in quella frazione di secondo, che sono legato alla corda di sicurezza, impreco e…cado nel crepaccio!
Vedo sfilare davanti ai miei occhi, come in una sequenza di un film al rallentatore, due enormi stalattiti di ghiaccio, mi preparo alla frustata della corda che si tende ma…stop, un colpo secco sui talloni, sono atterrato su una sorta di gradino dopo essere caduto per circa tre metri.
Pemba, da fuori, urla e mi chiede come sto; bene, sto bene; ti sei fatto male? No, sto bene, stiamo calmi e vediamo di uscire da questo cavolo di buco!
Pianto un rampone a destra sul ghiaccio, vedo sulla sinistra una colonna bianca, ho paura che sia solo neve, la gratto con la mano, è ghiaccio, è solido, pianto il rampone sinistro, tiene bene, faccio due, tre passi avanzando in spaccata, Pemba è sdraiato sul bordo dell’abisso con il braccio proteso verso di me, lo afferro, altri due passi, sono fuori!
Pochi minuti, pochi minuti in cui ho cercato di mantenere la calma e di ragionare, pochi minuti durante i quali ho sbirciato verso il basso aspettandomi di guardare verso il blu di un tipico crepaccio, ma rimanendo sconvolto nel fissare il nero, il nero infernale di un abisso senza fine.
In giornata siamo al Campo base, il giorno dopo scendiamo a Samagaun, si prende l’elicottero, la sera stessa sono a Kathmandu davanti ad un’enorme bistecca di quasi un chilo!
E’ stata una grande e meravigliosa avventura ma, probabilmente, la maggior soddisfazione di questa esperienza non è strettamente legata alla prestazione sportiva che, comunque, mi ha pienamente soddisfatto quanto, piuttosto, ai primi accordi presi con gli amici nepalesi in merito al mio progetto di realizzare, a titolo completamente gratuito, delle microcentrali idroelettriche per sostenere ed incrementare lo sviluppo di villaggi che abbiano nelle vicinanze un torrente o un piccolo corso d’acqua (tipica situazione di molti insediamenti alle pendici dei grandi ghiacciai himalayani). Ho chiamato il progetto ” Light from Ice” (luce dal ghiaccio delle montagne himalayane) e spero che, nei prossimi anni, possa rappresentare un contributo concreto per lo sviluppo del mio amato Nepal.
Luce, non semplicemente intesa come energia elettrica per illuminare e per soddisfare le esigenze primarie di una comunità, ma anche luce di speranza per la rinascita di un popolo meraviglioso.
Namaste!
Antonio Magliacano
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